Sì, l'Università rischia grosso
Presente e futuro dell’università fiorentina, tra rischi di crac, problemi di personale e docenti che se ne vanno.Presente e futuro dell’università fiorentina, tra rischi di crac, problemi di personale e docenti che se ne vanno. Questi i temi del forum organizzato nella sede del «Corriere Fiorentino»: li abbiamo discussi con Alfredo Corpaci, prorettore vicario, Franco Angotti, prorettore ai rapporti con il territorio e alle sedi decentrate, Sandro Rogari, prorettore alla didattica e servizi per gli studenti, Romano Del Nord, prorettore all'edilizia e al patrimonio, Raimondo Innocenti, preside di architettura, Franca Pecchioli, preside di lettere e filosofia e Paolo Caretti, professore ordinario del Dipartimento di diritto pubblico a giurisprudenza.
La nostra riflessione parte dai gravi problemi finanziari dell’ateneo. C'è un rischio crac dell'Università?Corpaci: «No, ma la situazione finanziaria è critica in un quadro complessivo di difficoltà: tutta l’Università è sottofinanziata, il trasferimento statale è imprevedibile, molti costi ingovernabili, il personale per esempio. Il consiglio di amministrazione e il senato accademico hanno scritto le concause di questi problemi: una sottovalutazione da parte degli atenei delle conseguenze di certe scelte come l'addossamento alle università dei costi aggiuntivi per il personale».
Pesano le scelte proprie dell'ateneo fiorentino?Corpaci: «Le nostre risorse sono in grandissima parte trasferimenti statali: l'ateneo ha un margine dimanovra ristretto. Anche sulle tasse: c'è un limite di legge, non possono superare il 20% del finanziamento statale, con aspetti molto perversi. Ma il finanziamento statale non cresce, diminuisce: all'aumento del numero degli studenti dovrebbe così corrispondere un abbassamento delle tasse, è assurdo. Un meccanismo che ormai non regge più».
Quindi c'è stata una sottovalutazione del problema? Le spese di Novoli hanno pesato?Del Nord: «Le risorse che arrivano all'Università per opere infrastrutturali non si possono mescolare con le risorse per la spesa ordinaria. Non si può risparmiare da una parte e versare dall'altra, se ci arrivano dei fondi per le strutture non possiamo utilizzarli per i docenti. Novoli ha inciso? Non certo per i 150 miliardi di lire di costo, una spesa coperta da finanziamenti. Ma quando abbiamo finito di pagare i 150 miliardi, ci siamo trovati di fronte a un costo di gestione che è triplicato rispetto alle normali funzioni: vale anche per Sesto».
Rogari:«Il costo del personale è aumentato, ma meno rispetto rispetto alla media degli altri atenei. Le Finanziarie fino al 2000 hanno sempre contemplato l’automatismo degli aumenti di stipendi dei docenti, conferiti all'università. Questo meccanismo si è interrotto nel 2001 sul fronte dell'entrata, non nella spesa. C'è un annus horribilis da cui parte la crisi finanziaria poi sempre crescente, il 2004: quell'anno entrano a regime i poli di Sesto, Novoli e viale Morgagni, con accrescimenti di spesa in un anno, dal 2004 al 2005, di 13 milioni. È vero: sul deficit attuale 13 milioni non corrispondono a 30, ma si devono aggiungere i servizi dei mutui che gravano ora sul bilancio per 9-10 milioni: lo squilibrio alla fine sul personale è relativo, lo squilibrio forte è gestire dei poli didattici che d'altra parte non potevano essere fermati».
Ora la situazione com’è?Rogari: «Ora arriveranno anche i costi di gestione di via Laura, via Capponi e via della Pergola ristrutturate. E non possono non andare che a regime: Lettere non ha aule, Architettura non ha aule, Scienze della formazione èmessa peggio. Nel 2000 si è iniziato a sentir dire che l'Università di Firenze collasserà perché non ce la farà a gestire tutto questo, ma tutto questo era stato progettato molto prima: Sesto dagli anni ’70-’80, Novoli dai primi anni ’90» Del Nord «Abbiamo un accordo di programma di 450 milioni di euro per completare le opere a Sesto e Novoli e effettuare una prima operazione pesante nel centro storico. Avevamo le risorse per poterlo fare. Il paradosso è che abbiamo circa 200 milioni a disposizione che non possiamo spendere, perché l'accordo di programma dice che il 50% lo mette lo Stato, è già in cassa, e l'altro 50% lo mette l'Università, che per farlo deve accendere un mutuo, cosa che non possiamo fare. Ci rimane ancora scoperta l'operazione ingegneria».
Voi dite che a breve non ci saranno più professori in alcuni settori: ma allora non viene a mancare l'appeal dell'università fiorentina?Rogari: «Non avrei un atteggiamento troppo baronale nei confronti dei ricercatori, sono mediamente tra 35 e 42 anni, "giovani" che hanno passato processi di precariato e formativi di altissimo valore. La figura che noi qualifichiamo come ricercatore spesso è un fior fiore di studioso, potenzialmente anche di docente. Per imboccare una strada virtuosa, bisogna allargare la base, ringiovanire il corpo docente e aumentare chi sta nella fascia dei ricercatori. Questa politica è stata iniziata nel 2006 con una settantina di ricercatori, poi ora altri 43, per riequilibrare. Non che il problema del grande professore che va in pensione non esiste: il blocco del turnover è un'accetta che colpisce in modo irrazionale».
Sembra di capire che con la strada intrapresa si perdano fior di docenti…
Innocenti: «È chiaro che le nostre lacune non si colmano con i posti di ricercatore, ma bisogna tenere in considerazione la condizione economica in cui ci troviamo, non si devono mettere in contrapposizione ricercatori e pensionamenti ».
Ma c'è qualcuno che provi a bussare a fondazioni o enti per avere finanziamenti o sponsorizzazioni?Del Nord:«Nonostante tutto, nella "caccia" ai finanziamenti per la ricerca l'Università di Firenze è da anni ai primi posti. Una critica che dobbiamo fare a noi stessi è invece quella che abbiamo avuto un'incapacità di impostare principi di programmazione, futura. In questo marasma, però, c'è anche competitività: l'università di Firenze come si presenta sul mercato? Siamo ai primi posti per la ricerca. Ma cosa vogliamo essere: teaching university o research university? Se io mi oriento verso una research university, il principio del ricercatore è un principio che favorisce di più l'ateneo rispetto a quelllo di creare un associato mediocre».
Caretti: «Alcune facoltà, come quelle umanistiche, hanno capacità di attrarre fondi dal privato praticamente pari a zero, altre facoltà attraggono moltissimo. Fondazioni e istituzioni locali dovrebbero considerare l'Università una ricchezza Nella ripartizione delle risorse queste cose vanno tenute in considerazione, non si possono applicare criteri uguali per tutti».
Corpaci:«È un momento drammatico, se non si rivedono la regole il nostro sistema è destinato a collassare nel giro di poco tempo. Abbiamo fatto la nostra parte. Ma senza azione coordinata di governo e istituzioni locali non se ne esce, le istituzioni regionali e locali devono porsi questo problema. Le fondazioni bancarie che politiche fanno in città? La politica di distribuzione di fondi per la ricerca viene fatta soprattutto per rapporti personali. Tutti devono rendersi conto che l'Università è una ricchezza, è un soggetto essenziale a uno sviluppo della società della conoscenza. Invece di distribuire fondi a pioggia facciamo un intervento complessivo concordato. La Regione lo sta facendo: c'è in ponte una legge regionale che dovrebbe dettare regole di organica distribuzione di risorse su attività di ricerca e formativa».
L'ateneo si è mai seduto al tavolo con comune e provincia, per esempio per le case e i servizi degli studenti?Del Nord:«Siamo riusciti a convincere Comune e Regione a prefigurare il futuro di Firenze come città dell'alta formazione e della cultura. Esiste una potenzialità attrattiva nei confronti del mercato internazionale potentissima, basta dire che abbiamo 60mila studenti italiani e 10mila studenti che ruotano da altri paesi, ricercatori e visiting professor compresi. Ma non c'è offerta qualificata per accoglienza e servizi. Dal punto di vista economico, l'Università produce nei confronti della città un contributo pari al 18% rispetto al prodotto interno lordo. Ma quando abbiamo detto: cerchiamo di definire una strategia di sviluppo per i servizi da offrire e incentivare l'attrattività, ci dicono: "Avete voi Università le risorse per investire?" Questo è il punto critico».
Pecchioli:«C'è anche una certa pigrizia: il problema di piazza Brunelleschi è stato sui giornali per anni, ma il Comune ha deciso di intervenire solo dopo che noi abbiamo deciso di chiudere la porta»